VIOLENZA ECONOMICA

La Convenzione di Istanbul (Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica), approvata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa il 7 aprile 2011 ed aperta alla firma l’11 maggio 2011, definisce la “violenza contro le donne” una “violazione dei diritti umani e forma di discriminazione contro le donne comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata”.
La violenza economica, in particolare, si riferisce ad atti di controllo e monitoraggio del comportamento di una donna in termini di uso e di distribuzione del denaro, accompagnati dalla costante minaccia di negare risorse economiche nei casi in cui il sostentamento della donna dipenda esclusivamente dai redditi del marito. La violenza economica si concretizza anche nell’impedire alla donna di ottenere e/o mantenere un impiego e, quindi, un’entrata finanziaria personale, nonché di utilizzare autonomamente ed arbitrariamente le proprie risorse economiche.
La violenza economica, presente nella gran parte dei casi di violenza psicologica e/o fisica (come testimoniato dai racconti delle donne stesse) si manifesta come uno dei modi più “naturali” e, allo stesso tempo, subdoli di esercizio del potere maschile nei rapporti di coppia.
La violenza economica può consistere in condotte apparentemente innocue, ossia in “segnali” potenzialmente svantaggiosi laddove abbinati ad altri comportamenti, fino a degenerare in condotte palesemente lesive della liberà personale ed economica della persona.
Solo a titolo esemplificativo, si segnalano: un unico conto corrente cointestato, con firme disgiunte, ma con facoltà fattuale esclusiva dell’uomo di occuparsi della gestione del conto stesso; alla donna può essere consentito effettuare operazioni ordinarie, ma resta facoltà esclusiva dell’uomo occuparsi di investimenti ed operazioni straordinarie, senza coinvolgere la moglie / compagna nelle decisioni;
negare alla donna l’accesso all’home banking; riconoscere un “compenso” periodico alla compagna/moglie ed esercitare un controllo sulla gestione di tale “compenso”, ad esempio pretendere rendiconti dettagliati delle spese o limitare l’utilizzo degli importi versati a determinate categorie di beni; non consentire alla donna l’accesso ai conti correnti ed alla gestione del budget familiare; tenere la donna all’oscuro delle entrate e/o delle uscite significative della famiglia; la donna riceve esclusivamente il denaro per la spesa alimentare della famiglia, magari in misura insufficiente, con l’impossibilità di utilizzare carta di credito o bancomat. Può accadere addirittura che la donna non abbia neppure la possibilità di fare la spesa, perché non riceve nemmeno lo stretto necessario. Il compagno / marito può negare soldi per medicine o cure mediche. Nella sostanza, ogni spesa / uscita è delegata interamente ed esclusivamente all’uomo il quale le determina in totale autonomia e senza interpellare la compagna.
Condotte ancor più estreme possono essere quelle di dilapidare, all’insaputa della donna, il capitale di famiglia o della moglie, obbligandola o cercando di convincerla a firmare documenti senza esplicarne il contenuto o le conseguenze (spesso trappole economiche: ipoteche, mutui, crediti personali, fideiussioni, partecipazioni in società sulle quali poi non viene concessa alcuna supervisione e controllo), giungendo a far indebitare la donna per acquisti di beni che vengono
intestati esclusivamente al compagno / marito; non da ultimo, svuotare il conto corrente in previsione di una separazione.
Sovente accade che il maltrattamento economico non si interrompa con la separazione, bensì continui allorquando il marito si dichiari “nullatenente”, modifichi il reddito / patrimonio al fine di evitare che il Tribunale disponga ingenti assegni per i figli e/o per la moglie, smetta di contribuire al mantenimento dei medesimi e facendo sì che, in caso di eventuale richiesta di rimborso coattivo del credito, la donna non sia in grado di recuperare le somme dovute.


CONSIGLI PRATICI
Non è sempre facile riconoscere la violenza economica, in quanto spesso si nasconde dietro a comportamenti ancora culturalmente giustificati de accettati. Tenuto conto che la violenza economica è diffusa trasversalmente e non dipende dalle fasce di reddito delle donne, si può affermare che tutte possono esserne vittime.
Nel matrimonio sarebbe consigliabile avere ben chiara la differenza tra il regime di comunione e di separazione dei beni e che, in mancanza di diversa convenzione tra le parti o di dichiarazione al momento della celebrazione del matrimonio, il regime patrimoniale della famiglia sarà quello della comunione dei beni, salvo successiva modifica che, tuttavia, dovrà sempre essere fatta per atto pubblico e su accordo tra le parti in un momento successivo. In estrema sintesi, il principio generale è che con la comunione dei beni, diventano comuni tutti i beni acquistati in quel regime, a meno che non si tratti di beni personali. Con il regime della separazione dei beni, invece, i coniugi conservano la titolarità esclusiva dei beni acquistati durante il matrimonio.
L’eventuale regime di comunione legale si scoglie poi con la separazione.
Sarebbe, inoltre, auspicabile conoscere gli effetti civili del matrimonio sia in ambito successorio che previdenziale (ad esempio, in materia di trattamento di fine rapporto e di pensione di reversibilità).
È bene sapere che al coniuge del defunto spetta una posizione particolarmente privilegiata nel caso di successione (in particolare, è ricompreso tra gli eredi nel caso di successione legittima, e cioè senza testamento ed ha la qualifica di “legittimario” e cioè di soggetto cui spetta il diritto ad una determinata quota di patrimonio del defunto e ciò a prescindere dalla volontà di quest’ultimo) e che
i reciproci diritti ereditari si perdono solamente una volta ottenuto il divorzio (non è, quindi, sufficiente la sola separazione), oppure nel caso di separazione con pronuncia di addebito (in sintesi, allorquando il Tribunale accerta che la crisi coniugale è stata determinata dal comportamento – contrario ai doveri del matrimonio – di uno dei coniugi). In caso di addebito, peraltro, il coniuge a carico del quale è stata pronunciata la separazione perde il diritto all’assegno di mantenimento conservando, ove sussista, solo il diritto agli alimenti.
In generale, sarebbe meglio possedere un conto corrente personale nel quale far confluire i propri redditi mensili così da poterne disporre in autonomia per una maggiore garanzia della propria libertà di scelta, senza che questo significhi “non fidarsi” o amare di meno. Inoltre, per le donne che intraprendono un percorso di “uscita” dalla violenza e dal maltrattamento, ottenere o riacquistare l’indipendenza economica consente di raggiungere più facilmente l’obiettivo.
Nel caso in cui non si disponga di un’entrata mensile, è di grande importanza esigere dal proprio partner, sia per se stesse che per i figli, il massimo dell’attenzione e delle cure.
Si raccomanda, inoltre, di evitare di sottoscrivere documenti i cui contenuti non vengano preliminarmente spiegati: questa “banale” premura può evitare l’assunzione di obblighi economici indesiderati e che, sebbene non immediati, potrebbero comportare in futuro esborsi anche importanti o, addirittura, far subire procedimenti espropriativi.
In caso di pericolo o necessità urgente, ci si può rivolgere a parenti e amici per una soluzione abitativa temporanea, oppure si può contattare un centro antiviolenza. In un momento successivo si può tentare di rinvenire un occupazione lavorativa, ad esempio iscrivendosi al Centro per l’impiego provinciale.

È bene sapere che il vostro partner ha l’obbligo di mantenere i vostri figli anche dopo la separazione (anche se non avete contratto matrimonio) e che, in caso di disaccordo, un Tribunale quantificherà l’importo che riterrà equo e che dovrà esservi corrisposto mensilmente.
Al verificarsi di determinate condizioni, vostro marito potrebbe anche risultare obbligato a mantenere voi dopo la separazione (ciò tuttavia non è previsto in caso di semplice convivenza).
Laddove il vostro partner, pur obbligato a versarvi degli importi mensili sia a titolo di mantenimento per i figli che per voi stesse, ometta tale corresponsione, il consiglio è quello di rivolgervi ad un avvocato il quale potrà esplicarvi gli strumenti, sia civili che penali, che vi permetteranno eventualmente di recuperare le somme non corrisposte. In generale, rivolgersi ad un legale di fiducia per ottenere quante più informazioni possibili con riferimento a questi temi (che in questo intervento sono stati trattati solamente “in pillole”), potrebbe rilevarsi utile anche prima di intraprendere una convivenza o contrarre matrimonio poiché potrebbe consentire di riconoscere alcune condotte “allarmanti” prima che degenerino in forme più palesi e difficilmente arginabili.

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